L’alba a mezzanotte

di Stefano Massini

con (in o.a.)
Massimo De Francovich, Paola Minaccioni, Massimo Popolizio, Alvia Reale, Sandra Toffolatti

 

Una stanza immersa nel gelo rarefatto di un arcipelago artico. Una clinica di nitido lindore dove si sveglia un uomo senza memoria. Sono questi gli ingredienti essenziali del mio testo “L’alba a mezzanotte”, scritto nel 2006, costruito incrociando la struttura intuitiva del thriller hitchcockiano con la mia passione per quel sismografo emotivo che è il dialogo teatrale. L’azione è concentrata in un unico spazio, come un ring dell’anima, dove lentamente si tenta di ricostruire il percorso che ha portato il paziente a perdere ogni identità e senso di se stesso. Partendo da una situazione in parte comune al mio “L’odore assordante del bianco” dove investigavo la schizofrenia di Van Gogh nel manicomio di Saint-Paul, in questo testo ho esplorato non tanto il rapporto con la realtà, quanto il sottile filo – sostanziale – che ci lega alla memoria come luogo dell’identità. E viene in mente il caso clinico riportato da Oliver Sacks su quell’uomo che non avendo memoria mancava di ogni senso del proprio essere, facendosi talvolta rabdomante di possibili passati, talvolta giocatore d’azzardo in una continua invenzione del “chi sono”.