Le Troiane



Note sullo spettacolo

Spesso ci si accosta a un testo perché sentiamo che ci parla in modo particolare, per le sue suggestioni formali, o perché è capitato e basta. Poi, man mano che ci inoltriamo nel lavoro di prova cominciamo a scorgere la sua sostanza, emergono i temi, la sua forza, i suoi limiti o il suo potenziale.
Di fronte alle troiane sapevamo che il materiale, quest’ininterrotto canto di morte e di vita, poteva riservarci molto, ma forse nessuna, nessuno di noi, avrebbe saputo immaginare cosa.
Il lavoro è cominciato da un’esplorazione del testo attraverso le improvvisazioni e non c’è voluto molto perché la potenza dei temi e delle situazioni aprisse in ognuno di noi varchi profondi, perché qualcosa ci travolgesse, come una risata o un singhiozzo che ci scuota il corpo senza che nemmeno un perché possa essere sussurrato nella nostra mente.

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Note di regia

Il pubblico prende posto in sala. La scena è spoglia, scandita da ciò che resta dopo la guerra. Un cumulo di vecchie valige, un tavolo divelto, sedie spaiate seminate attorno, resti di detriti e utensili, in fondo un muro coperto da vecchi drappi di tela. Una donna percorre la platea, smarrita, confusa. Si agita, e altre due la raggiungono a calmarla. E’ la fine della guerra e presto le donne rimaste saranno spartite dai vincitori. Poi le tre superstiti abbandonano il pubblico sotto il richiamo di una sirena, come se ancora qualcosa dovesse colpirle, come se ancora ci fosse qualcosa da cui potersi difendere. Le donne raggiungono il muro e tolgono i drappi. Ecco, su quel muro appaiono i volti di tutti quelli che la loro guerra ha ingoiato. E’ l’inizio della tragedia. Ecuba, Andromaca e Cassandra di lì a poco entreranno in contatto con Elena, colei che è stata la causa di ogni loro male. Leggi di più

Galleria fotografica

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Le troiane

E’ la fine della guerra. Le donne superstiti attendono di essere deportate. Saranno spartite dai vincitori come bottino di guerra. Nessuna ancora conosce il proprio destino, sono sul culmine del tempo a venire. Ogni passo le porterà verso la fine di una vita e l’inizio di un’altra. In ogni caso dovranno sopravvivere. Anche a se stesse. Ognuna porterà con sé, nella propria valigia quello che le permetterà di non morire. Per una sarà la bellezza per un’altra il ricordo del corpo di chi ha amato, per qualcuna la vendetta, e per colei che ne sarà in grado la memoria. Quattro donne. Quattro grida disperse in un mondo che non è più capace di raccontare nulla, perché ogni riferimento è stato ingoiato dal sorriso affilato della madre guerra. Rappresentata nel 415 a.c. all’indomani dell’efferato massacro della città di Milo da parte di Atene,

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